XI

Sep. 15th, 2010 03:51 pm
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Titolo: XI
Genere: raccolta
Pairing: nessuno
Rating: safe
Disclaimer: gli Arashi non mi appartengono u_u
Note: dunque, come tutti (?) sanno, oggi è l'undicesimo anniversario degli Arashi. Per l'occasione, pubblico una raccolta di undici brevi 'storie', tutte dal punto di vista di Aiba, delle riflessioni sugli avvenimenti più significativi da quando è entrato nei Johnny's, sul suo rapporto con gli Arashi in generale e con i singoli membri. Alcune informazioni sono state ricavate da interviste e video, altre sono state inventate di sana pianta XD

Non starò a dilungarmi su quello che significano gli Arashi per me. Semplicemente, quello che mi è successo con loro non mi era mai successo prima. Non potrò mai benedire abbastanza il giorno in cui ho scoperto della loro esistenza.
Buon anniversario ♥

Jun apparteneva al gruppo di ragazzi che secondo Nino ‘facevano sul serio’.
Inizialmente Aiba lo conosceva solo per questo motivo: era ‘uno di quelli’. Ovviamente non aveva nulla contro quei ragazzi: mentre Nino li guardava con stupore, lui si sentiva a disagio in loro presenza; gli dava fastidio quando gli capitava di cantare più canzoni di loro o di ballare in prima fila. Non gli sembrava corretto che persone che volevano diventare idol e che ce la mettevano tutta venissero superate da uno come lui, che non sapeva che fare della propria vita. Era certo che se gli altri avessero scoperto quanto poca fosse la sua motivazione, non gli avrebbero più parlato.
Anche se non lo conosceva, per Aiba era evidente che Jun fosse diverso sia da lui che da Nino. Lui era entrato nei Johnny’s per un motivo totalmente illogico, Nino si era presentato ai provini per via del suo insano amore per il denaro. Jun era nell’agenzia perché voleva essere un idol: voleva far impazzire le ragazze,  sorridere in ogni momento della sua esistenza, fingere di essere una creatura perfetta e lontana dalle basse passioni umane, e indossare vestiti di dubbio gusto.
Stando alle voci che giravano, Jun era entrato nell’agenzia senza fare alcun provino, ma solo per il suo bell’aspetto. Dato che neppure il suo si poteva definire ‘provino’, Aiba non sen’era mai preoccupato, ma la questione era diversa per gli altri Juniors. Se Jun stava spesso e volentieri da solo, non era per la sua timidezza, o meglio, non era solo per essa: anche se nessuno l’aveva mai detto a voce alta, egli veniva considerato come una bella bambolina incapace, che era nell’agenzia per il suo aspetto e non per le sue capacità.
Aiba era stato forse il primo, tra i Juniors, a rendersi conto che Jun meritava di stare lì più della metà degli altri ragazzi. Era una sera di novembre, e tutte le lezioni erano ormai finite; stava per tornare a casa quando aveva notato la luce accesa in una della sale prova. Pensando che qualcuno se la fosse dimenticata accesa, aveva aperto la porta per spegnerla, ma si era immobilizzato nel vedere che c’era qualcuno.
Con la musica al minimo, Jun provava davanti allo specchio la coreografia sulla quale stavano lavorando in quei giorni: ogni volta in cui arrivava al punto in cui c’erano dei rapidi movimenti di braccia e gambe faceva un errore, quindi si fermava e riniziava.
Aiba era rimasto ad osservare il suo allenamento per tre ore buone, fino a quando Jun non era riuscito a completare la coreografia senza fare errori.
Fu in quel momento che comprese quanto grande fosse la forza di volontà di quel bambino; fino ad allora lui aveva sempre fatto quello che gli dicevano senza mai preoccuparsi di fare qualcosa in più e senza chiedersi se potesse fare di meglio. Guardando Jun, improvvisamente gli era venuta una gran voglia di impegnarsi e mettercela tutta.
La sera seguente, dopo le lezioni, aveva deciso di seguire l’esempio del suo kohai e di mettersi in una sala vuota a ripassare la coreografia. Proprio come Jun il giorno prima, anche lui aveva dei problemi in quel passaggio veloce; quando stava per ripetere tutto per la quinta volta, aveva sentito la porta aprirsi e un’esclamazione sorpresa. Sulla soglia c’era Jun, col suo borsone grande il doppio di lui.
-Ti serve la sala?
-No, no- aveva scosso la testa facendo svolazzare i capelli nerissimi –posso andare in un’altra stanza, senpai.
-Resta pure. Lo faccio un’altra volta e poi me ne vado.
Aveva vitato di aggiungere “posso restare a provare per i prossimi 10 anni, non credo che riuscirò a farla”.
Jun allora si era seduto in fondo alla sala per osservarlo ballare; sbagliò nel solito punto e si tappò la bocca per non farsi sfuggire un’imprecazione davanti al kohai. Aveva fatto un balzo quando se l’era ritrovato accanto: Jun era così piccolo che non l’aveva visto muoversi.
-Senpai, devi fare così.
E gli aveva spiegato come seguire quei passi che lui stesso aveva imparato solo il giorno prima. Jun non sembrava affatto il bel bambino di cui parlavano gli altri ragazzi; per essere bello era bello, con i capelli neri, gli occhi grandi, le guance rotonde e, Aiba ne era certo pur senza averle toccate, morbide. Ma non stava lì per grazia ricevuta: era un tipo che lavorava sodo e che, nonostante la naturale timidezza, non si faceva problemi a dire le cose come stavano. Era sorprendente che un tipo così piccolo avesse un carattere del genere.
A un certo punto della ‘lezione’, per qualche motivo Aiba aveva pensato che Jun avrebbe fatto scintille con Nino, visto il carattere niente male che entrambi si ritrovavano; ed era certo che, se ci fosse stato anche lui, sarebbe stato preso nel mezzo e massacrato. In seguito, si era reso conto che quella volta ci aveva visto giusto.
Quella sera Aiba aveva imparato la coreografia, e si era reso conto di aver dimostrato di essere il peggior senpai della storia.


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