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[personal profile] rosa_elefante
Titolo: Wounds that can be healed
Autore: [livejournal.com profile] rosa_elefante 
Gruppo: Arashi
Personaggi: Aiba Masaki, Sho Sakurai
Pairing: Sakuraiba
Genere: yaoi, angst
Rating: PG
Avvertimenti: sequel di Hearts' Bounds
Riassunto: con Hearts' Bounds, sono stati esaminati i pensieri di Sho e Aiba sul loro rapporto, ormai finito. Qui si torna nel presente, per vedere come i due vivono questa rottura.
Note: è divisa in tre parti: una per Sho, una per Aiba, e una per entrambi. Le frasi all'inizio di ogni parte sono tratte dalla canzone Aitakute Aitakute di Nishino Kana
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo


“ ' Shiawase ni natte ne ' to
Kimi no mae ja otonabutte
Sonna koto kokoro no naka ja
Zettai ni omowa nai?”

“ “I hope you’ll find happiness”
I try to act like an adult in front of you
But inside my heart
I don’t feel that way at all”


SHO

Ci sono suoni a cui non ti abitui mai.
Non importa quante volte tu li senta. Quanto profondamente intrecciati siano al tuo passato - a un periodo della vita che non puoi dimenticare - e parte del presente, e chiodi infissi nella tua esistenza.
Un telefono che squilla nel cuore della notte è una cicatrice che non rimargina. Un rumore che penetra la carne - la riapre - e tira i nervi.
Fa male nel profondo - fin nelle ossa - e risveglia ogni tipo di paure.
Quando apre gli occhi, Sho pensa ad Aiba.
È difficile sentirsi forti, dopo aver affrontato una notte insonne.
La stanchezza sembra tremare in ogni respiro, in ogni passo. In ogni azione da compiere, che diventa gigantesca e pesante. In ogni cosa che vedi. Che sembra più lontana.

Sospira, mentre suona il campanello di quell’enorme casa che lo ha visto crescere.
Non si sente pronto ad affrontare Mai – e meno male che sa che in casa c’è solo lei, altrimenti non ci sarebbe mai andato.
E sa che pronto non lo sarà mai, ma forse tra qualche settimana avrà saputo rivestire ogni cosa - ogni nervo - di razionalizzazioni sufficienti a sbiadire il dolore. Forse, passato qualche mese, non sarà più tutto così limpido e fragoroso. Forse, tra qualche anno, non farà più male niente.
Sospira ancora mentre la porta si apre. Mai sta in piedi sulla soglia, le braccia incrociate sul petto; lo osserva con cipiglio severo.
-Finalmente ti fai vedere!- dice scostandosi per farlo entrare nella casa deserta.
-Sono stati giorni parecchio pieni, tra il lavoro e il resto...- risponde lui.
Sua sorella scuote la testa, prima di abbracciarlo.
-Parecchio pieni, certo!- ironizza, ma che sia felice di vederlo è evidente dalla forza con cui lo stringe. Dalla tenerezza brusca con cui gli passa le mani sui capelli: una carezza sola, rapida, che carezza quasi non è.
Sho sa che muore dalla voglia di commentare la sua situazione.
Mai ha sempre qualcosa da dire, del resto; o non sarebbe sua sorella e, soprattutto, una donna.
Per un attimo, è tentato di sgusciare via dalla conversazione domandando di Shu, del lavoro, di qualunque cosa. Ma sarebbe vigliacco, e anche stupido: meglio concedere a Mai questo momento, per evitare, più tardi, il peggio.
Siede al tavolo con lei, accetta il bicchiere di vino.
-Quindi hai già trovato un appartamento?- domanda sua sorella inghiottendo il primo sorso. Quasi distrattamente.
Anche quella è una sua caratteristica: qualunque discorso debba affrontare, lo prende sempre da molto lontano. Sho sa che è necessaria una certa cautela.
Annuisce.
-Sì, per ora. Ma non è nulla di definitivo.
La donna lo guarda, poco convinta.
-Questa casa è sempre aperta, lo sai. Non ti fa bene stare da solo, in questo momento.
Le lancia uno sguardo infastidito.
-Non sono malato, Mai – ribatte seccamente – Né in lutto. Sono semplicemente andato a vivere da un’altra parte.
-Esatto. Da solo – rimarca l’altra, sollevando un sopracciglio.
E non è un mistero cosa stia sottintendendo.
In sette anni, Sho non ha ancora capito cosa ci sia, in Aiba, capace di farla indisporre tanto. Sbuffa, appoggiandosi allo schienale della sedia. –Forse ne ho bisogno, ti pare? Ho da mettere in chiaro un po’ di cose. E non posso farlo se mi state tutti intorno.
Sua sorella si limita a fissarlo. E Sho si rende conto che è assurdo, ma, anche se è lui il maggiore, non è molto più adulto di quando aveva dieci anni, non quando Mai ha quello sguardo.
Quando scrolla la testa in quel modo.
Il nome di Masaki, sulle sue labbra, si articola in suoni completamente diversi da quelli a cui Sho è abituato.
Sua sorella ha sempre avuto la curiosa facoltà di rendere estranee anche le parole più familiari.
-Mi dispiace per come sono andate le cose, Sho – Mai appoggia la schiena allo schienale della sedia. Il bicchiere di vino rotea tra le sue dita, mentre lei aggiunge, senza guardarlo –Ma sono convinta che sia stato un bene, dopo tutto. Tu e Aiba-kun siete troppo diversi, e quella specie di relazione che avevate non era per nulla salutare.
-Guarda che quella specie di relazione non è ancora finita, eh- precisa Sho – Stiamo solo valutando se sia il caso di apportare alcuni cambiamenti. Tutto qui.
-E la vostra curiosa concezione di cosa sia un rapporto tra due persone rientra fra questi, spero.
Si morde la lingua –Potrebbe. In una certa misura.
E Mai sorride. E non ha neppure bisogno di parole per dirgli: "Te lo avevo detto". Basta quel sorriso. Fatto in quel modo.
E il profondo senso di sollievo che malgrado tutto si avverte nella sua voce, quando dice, piano: -Ecco. Mi pare un'ottima idea.
-Non è un’idea, Mai – ribatte infastidito - Si tratta semplicemente di adeguare una relazione alla propria crescita emotiva. Quando abbiamo cominciato eravamo ragazzi.
-Il punto è che certa gente non smette mai di esserlo, Sho.
-Il punto è che questo è anche il fascino, di certa gente.
-Come no. – Mai si versa altro vino. Con calma.
Sho sospira, chiudendo gli occhi –Poi ti stupisci se ho evitato per settimane di incontrarti.
-E’ che finalmente hai fatto la scelta giusta, Sho. Quella di andartene. Per come la vedo io non c'è niente da valutare, e non vorrei che fossi tentato di tornare sui tuoi passi. Se un rapporto non ha funzionato in sette anni non funzionerà mai. Aiba-san è sempre stato troppo immaturo per te.
- O io troppo immaturo per lui. Non ci sono colpe, Mai. E tu sei prevenuta nei suoi confronti. Solo perché a vent'anni abbiamo deciso che potevamo stare insieme e lui non si è rifiutato.
Mai scuote la testa di fronte alla sua crescente irritazione.
-Non sto dando colpe a nessuno. In una storia, conta soprattutto quello che l'altra persona ti dà. E sono sicura che hai le tue buone ragioni per essere ancora legato ad Aiba-san, dopo tutti questi anni. Così come lui è legato a te. – poggia il bicchiere sul tavolo per guardare l’orologio che ha al polso –Comunque, ne riparliamo stasera, ok? Ora devo andare al lavoro. Tanto resti a cena da noi, vero?
Lui scrolla la testa, nervosamente.
-Non lo so, Mai. Ho da fare, davvero.
Mentre esce dalla villa, riflette che Mai non vuole altro che il suo bene.
L’ha sempre saputo, fin da quando era un ragazzino.
Anche quando sentiva lo stomaco stretto dall’angoscia di dover confidare il suo segreto a quella sorella minore che sembrava tanto più matura di lui, sapeva che, qualunque fosse stata la sua reazione, sarebbe stata dettata solo dall’amore. E dalla paura, dall’incapacità di capirlo, forse. Ma con amore, sempre.
Adesso, molti anni dopo, si rende conto che è andato tutto per il meglio. Che non poteva pretendere di più, da Mai, che già le ha chiesto molto.
Ma a volte ha la sensazione di non essere ciò che sua sorella si aspettava. Ed è un sospetto amaro, vago... che nulla ha a che fare con la delusione reciproca che lo lega ai genitori.  Che lo divide da loro. Qualcosa di dolce, comunque: un’incomprensione necessaria, cementata da affetto.
Ma pur sempre un vuoto.
E forse, è il vuoto che sente anche dentro di sé.

Fuori la strada è buia.
Ha un modo strano di accogliere la sera, quel quartiere: Sho l’ha sempre pensato.
A forza di viverci ci fai l'abitudine, ma guardarla con gli occhi di uno straniero è diverso. Percepisci altri particolari.
Masaki l’ha sempre odiato.
C'era in lui un'insofferenza profonda verso quella quiete. Verso quella discrezione. Come se fosse una ragnatela che chiudeva le vie d'uscita.
Del resto, Sho non riesce ad immaginare un luogo più diverso da Aiba.
Lui sa apprezzarlo, invece. Lo riposa.
Entra nel monolocale che ha da poco preso in affitto. Perfettamente ordinato. Asettico e fin troppo vuoto.
Non è abituato a stare da solo, Sho. Non ricorda di aver mai passato un lungo periodo in compagnia di sé stesso.
Gli amici un tempo scherzavano, dicendo che bisognava far attenzione e stargli dietro, perché studiando perdeva il conto del tempo. E sarebbe stato fin troppo facile, per lui, lasciato in balia dei suoi libri e dei suoi pensieri, perdere anche il contatto con il mondo.
Si riscuote nel sentire il suono dell’arrivo di una mail. La apre, è da parte di Nino.
Sgrana gli occhi: a volte si domanda se l’amico lo faccia apposta, o se proprio il suo sia semplicemente un pessimo tempismo.
Puoi chiamare Aiba per dirgli che domani mattina iniziamo un’ora più tardi?
Non riesco a contattare né lui né il suo manager, per non parlare degli altri due.
Lo farei io, ma stanno per iniziare le riprese.
Grazie.

Poteva semplicemente mandargli una mail, pensa Sho con irritazione.
Ma sa bene quanto i suoi compagni desiderino che loro due abbiano almeno un minimo di dialogo. Per il bene del gruppo.
E anche della loro amicizia che dura da più di un decennio.
La consapevolezza di dover chiamare Aiba arriva gradualmente, fino a fermargli il cuore. Deglutisce, pensando che potrebbe mandargli una mail e basta. Al lavoro è semplice, perché ci sono tutti. Ora non lo è per niente.
Per oggi ha fatto molto - ha fatto abbastanza. E passato una notte d'inferno: ha bisogno di riposo per carburare. Riposo, e coperte calde fino sopra il mento. Fin sulle orecchie. A chiudere fuori quel silenzio che fa sentire ancora più forte l'assenza di lui.
Prende un respiro profondo, invece, e allunga la mano a comporre un numero.
Fino a due mesi fa, quello era il numero di casa.
È destabilizzante, ora, premere le stesse cifre e chiedersi se disturberà.
Sentire una fitta allo stomaco al pensiero che ci sia qualcosa da disturbare. Qualcuno.
Chissà se Aiba sarà a casa, poi.
-Hey.
Risposta destabilizzante. Voce rilassata, serena. Un altro mondo.
Masaki.
Lui chiude gli occhi. Respira.
-Ciao. Sono io.
Il silenzio sembra battere come un tamburo nell'orecchio. Sulla tempia.
-Ciao- dice infine la voce di Aiba, ma adesso è una voce diversa. Più tesa. Più bassa.
-Scusa se ti chiamo a quest’ora, ma...
La voce si blocca. È strano, parlare con Aiba, così.
Riesce quasi ad immaginarlo, Aiba. In piedi accanto al telefono, con le sopracciglia aggrottate. L'espressione che ha sempre quando è sulla difensiva.
E si chiede, una volta di più, come abbiano fatto ad arrivare a questa situazione.
Il tono della voce, intanto, è cambiato di nuovo.
Adesso è vagamente allarmato. Appena più caldo.
-Tutto bene?
Annuisce.
-Sì, sì. Era solo un messaggio da parte di Nino, per domani...
Sembra quasi normale dargli quell’informazione di lavoro. Come se non fossero altro che due colleghi.
Sho sorride, e la tentazione di dirgli che lo ama per un attimo brucia sulla punta della lingua, come il bisogno di baciarlo. E di parlargli ancora, di altro, per tornare quelli di una volta. Loro.
Cala il silenzio. Sho sente che la telefonata sta per finire.
Ma Aiba parla ancora.
-Oh, ho deciso di imparare a suonare la batteria.
-Ah.
Non capisce cosa questo c’entri con lui, ma non glielo dice.
-L’ho anche comprata. Solo che... credo che dovrò smontare il tuo studio per farle posto, Sho...- dice infine, quasi troppo piano.
E lui si blocca. Perché è come se solo ora tutto diventasse vero. Definitivo.
Dopo due mesi.
Masaki smonterà il suo studio. Lui ammucchierà i libri nel suo monolocale, o da qualche altra parte.
Masaki continuerà a vivere nel suo appartamento. Lui dovrà inventarsi qualcosa.
Sta finendo ora.
-Sì, certo. - risponde, chiedendosi se la pausa è stata lunga quando l'ha percepita lui. Se l'esitazione si è sentita. Se Aiba riesce ad immaginarlo lì, in quel monolocale vuoto, come lui riesce a visualizzare il loro soggiorno. E il suo viso bellissimo, senza sorriso. –Dovrò poi passare a prendere qualche libro.
-Non disturbarti, te li posso portare al lavoro. Non c’è bisogno che vieni fin qua.
Lui annuisce, sollevato.
-Sì, è meglio. Ti farò avere una lista con quelli più urgenti... per gli altri ci sarà tempo.
E non avrebbe voluto dirlo.
Non servono cose per rendere tutto più reale.
Il sollievo di non doverlo incontrare in privato si sta già trasformando in dolore.
-Perfetto – la voce nella cornetta è davvero fredda. Lontana –Nient’altro?
-No- Sho scuote la testa –Buonanotte.
-Buonanotte, Sho.
Il suo respiro, ancora un istante, poi il rumore della comunicazione interrotta.
Segnale di libero, a ferire le orecchie.
Lui abbassa la cornetta, torna ad appoggiarsi al muro.
Il silenzio, intorno, è più fitto ed opprimente di prima.
E Sho lo sa, che coprire le orecchie con le coperte non basterà a renderlo più dolce.
Non stanotte, né mai.
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